Il settore delle bandiere è, ancora oggi, uno dei pochi ambiti in cui la realizzazione artigianale, pur avvalendosi di tecniche e strumentazioni moderne, resta di fondamentale importanza, in quanto parte integrante del manufatto stesso. Il ricamo, la frangiatura e la stampa dell’insegna vera e propria restano, infatti, i dettagli stilistici di maggiore importanza nella realizzazioni di tali accessori, facendoli diventare gli emblemi che contraddistinguono, agli occhi della comunità, l’ente o l’entità che si sta rappresentando.
È perciò necessario che la loro realizzazione avvenga secondo parametri precisi, con sapienza ed estrema attenzione per ogni dettaglio.
Per quanto personalizzabili e confezionabili in base alle esigenze specifiche del committente, infatti, gonfaloni, labari e gagliardetti hanno una loro valenza ufficiale, sono simboli ed emblemi riconosciuti, ciascuno dotato di caratteristiche proprie che non tutti conoscono o sono in grado di riconoscere.
Quelle che vengono definite generalmente come bandiere, infatti, possono indicare peculiari forme di rappresentanza, che hanno origini e scopi diversi, nonché caratteristiche formali specifiche.
Possiamo dunque affermare che tutte le bandiere siano vessilli, ovvero simboli rappresentativi di un’entità o comunità.
Ogni vessillo, però, prevede, almeno in origine, destinazioni d’uso e dettagli realizzativi specifici che, in parte, sono mantenuti e ritenuti validi ancora oggi.
Le varie tipologie di bandiera mantengono tratti comuni, come, ad esempio, le forme, lo scopo principale d’uso, la presenza di dettagli prestabiliti (quali ricami, stampe, frangiature) e di un’asta a cui vengono affissi; si differenziano, invece, l’un l’altro, per dimensioni, realizzazione e specifica sfera di impiego. Il gonfalone è la tipologia più sfruttata: nasce in età medioevale, inizialmente come insegna per contraddistinguere il Comune e, in seguito, utilizzato per identificare Compagnie, Corporazioni e Quartieri.
La forma più tipica è quadrata o rettangolare e prevede come tessuto privilegiato il velluto, anche se alcuni gonfaloni vengono oggi realizzati con altre stoffe, più o meno pregiate.
I gonfaloni attuali mantengono, dell’originale uso medioevale, il collegamento con il comune: ogni ente comunale italiano ne ha, infatti, uno proprio, che ne raffigura lo stemma rappresentativo.
Fa eccezione solamente il comune di Vicenza che nel proprio gonfalone presenta la bandiera nazionale con al centro la Rua, ovvero la giostra che contraddistingue simbolicamente la città fin dal XV secolo. I gonfaloni comunali, nel nostro Paese, hanno una certa importanza e, anche in virtù di questo, le loro caratteristiche fisiche sono imposte per legge.
Affinché un gonfalone possa essere riconosciuto ufficialmente, infatti, deve avere misure standard (1 m.X 2 m.), presentare esclusivamente i colori più rappresentativi e principali dello stemma ed essere sospeso a un’asta ricoperta di velluto dello stesso colore, a punta di freccia.
Il drappo, inoltre, deve sempre presentare una bordatura frangiata e, al centro, esporre il ricamo dello stemma dell’ente o associazione.
Secondo la prassi attualmente in vigore, i gonfaloni ricamati in argento sono peculiarità esclusiva dei comuni, mentre le decorazioni dorate possono essere utilizzate per città e province.
Va in ogni caso sottolineato come i moderni gonfaloni possano anche fungere da emblema di gruppi, enti o associazioni sociali e territoriali, politici, civili o religiosi: ciò significa che il suo impiego attuale possa anche, eventualmente, esulare dall’originario scopo d’uso prettamente comunale, ampliandosi verso più numerose e diversificate delegazioni.
Possono, perciò, essere previste anche personalizzazioni che riguardino dimensioni e forme, e forniture a società, circoli e altri gruppi che necessitino di possedere un loro stendardo di riconoscimento e appartenenza.
Diverso dal gonfalone risulta, invece, il cosiddetto labaro.
L’etimologia della parola è incerta, ma la maggior parte degli studiosi la individua nel latino laurus, alloro, simbolo di gloria e vittoria militare.
In effetti, i labari hanno origini più antiche dei gonfaloni, attestandosi già in epoca romana; nello specifico, si è soliti farli risalire all’epoca dell’Imperatore Adriano.
In generale, possiamo affermare come i labari venissero inizialmente utilizzati come insegne militari, esposti esclusivamente quando l’imperatore era insieme all’esercito: insegna militare, dunque, ma con il valore aggiunto connesso alla presenza della più alta carica dello stato.
Di tali origini, oggi resta solo la relazione con l’ambito specificatamente militare.
Solitamente, infatti, i labari rappresentano di preferenza associazioni militari o para-militari, gruppi di combattenti (o ex combattenti) e reparti dell’esercito; più di rado vengono utilizzati per rappresentare sfere politiche o religiose, enti e associazioni.
I gagliardetti, infine, risultano i vessilli collegati a rappresentanze di minor rilievo, come la definizione stessa sembra indicare.
Il termine diminutivo, infatti, indica la derivazione diretta dai gagliardi, ovvero le bandiere che venivano affisse ai bastimenti e alle navi, delle quali riprendono le forme e le dimensioni, ma riducendole.
In origine erano, dunque, insegne di alta rappresentanza navale che venivano esposte quando a bordo era presente un’alta carica della marina militare.
Si tratta di bandiere, solitamente biforcute o triangolari, di piccole dimensioni, utilizzate per rappresentare, di preferenza, formazioni politiche, religiose o associazioni sportive e culturali, delle quali presentano colori, stemmi e loghi stampati al centro.
Rispetto al passato, dunque, c’è maggior libertà di utilizzo e gonfaloni, labari e gagliardetti vengono sfruttati per i più diversi scopi, da differenti tipologie associative.
Inotre, risultano generalmente accettate tutte le forme di personalizzazione, salvo non ci si trovi in presenza di impieghi di rappresentanza ufficiale: nel qual caso è sempre necessario rispettare gli standard e le caratteristiche previste dalla legge.